ANNI ’80. SUPER. SUPERMODEL, SUPERBIKE, RALPH SUPERMAXIEROE. SUPER TUTTO. NON È NOSTALGIA, È STORIA. RIPORTATA SUI LIBRI (NON È VERO MA DOVREBBE).
Gli anni ‘80 erano da paura. Sono nate un sacco di cose negli ‘80 che ci portiamo ancora dietro, che hanno lasciato il segno, che piacciano o meno. La musica ad esempio, la musica era bellina. In quante compilations di quel periodo vi siete imbattuti? Tantissime. Una su tutte, non fosse altro per il titolo: “80 Voglia Disco Party”… Molto bene, passiamo ad altro.
I vestiti! Cosa dire sulla moda di quei tempi? Nessuno può scordare i jeans alla saltafosso o i pantaloni larghi sopra stretti sotto un po’ bragaloni, i ciapamerda, o le spalline mazinga z o i colori tanto brillanti da dover indossare la maschera da sci. Pena, la cecità.
Poi ci sono i film di botte con Van Damme che tirava certi calci rovesciati che mammamia, le super-discoteche con la musica di cui sopra, la cucina con le deliziose pennette vodka e salmone che ti sentivi in Russia a ogni forchettata, esoticissime.
E poi le moto. Giapponesi, perché le italiane in quegli anni sonnecchiavano, esclusa qualche eccezione. Negli ‘80, se eri appassionato di moto, la notte dormivi sonni agitati. Dovevi farti un litro di camomilla prima di andare a letto. “Che modello uscirà domani? Come risponderanno gli altri? Col turbo?”. Usciva una moto con la frequenza con cui ci si cambiano le braghe. E che moto! Mica robine da poco, ma va. In quella decade e in parte della successiva, il Sol Levante ha dato alla luce moto con soluzioni tecniche ed estetiche strabilianti e ognuna, a modo suo, ha segnato una svolta. C’è un termine in inglese che esprime meglio di tutti il concetto: game-changer. Ognuno di quei mezzi è stato un game-changer. Quei mezzi hanno cambiato per sempre il modo di progettare e di guidare le due ruote. Hanno obbligato la concorrenza a spremere il cervello dei progettisti per stare al passo, quantomeno gli hanno dato qualche bella scossa. Qualcuno è stato al gioco. Altri hanno mollato. Alcuni, agitati da quelle scosse, han tremato fino a realizzare motociclette altrettanto fantastiche, talvolta ancor di più.
Suzuki, Honda, Yamaha e Kawasaki hanno avuto il merito, oltre che di sfornare attrezzi tecnicamente innovativi ed esteticamente favolosi, di aprire la strada spazio-temporale che porta fino ai giorni nostri, fino alle moto di oggi. In quegli anni ogni singola casa motociclistica giapponese ha dato la sveglia a tutti. Più volte e sempre più forte.
Ce ne sarebbe una discreta quantità di sveglie da analizzare, ma questo non è un trattato sulle superbike giapponesi 1980, quindi ne scegliamo emblematicamente quattro. Con la speranza che, guardando i disegni di queste quattro bestie, possiate provare anche solo per un attimo i brividi di quegli anni epici.
Gli esemplari presi in esame sono, in ordine rigorosamente casuale:
SUZUKI GSX750R del 1985. Per alcuni è LA Moto di quegli anni. Esteticamente era una replica fatta e finita. Muscolosa, cattiva, talmente spigolosa che stavi scomodo solo a guardarla. Pensa a guidarla. Tecnicamente aveva alcune cose che si vedevano solo in pista, tipo i freni, lo scarico traforato, la carenatura intera. Parecchie superbike moderne darebbero via il terminale per avere solo un po’ della sua grinta. Per guidarla dovevi aver fatto almeno 6 mesi di panca piana e 4 di military press. Almeno. Se andavi a prenotarla dal concessionario, prima ti facevano togliere la camicia e ti pesavano. “No, non va bene, lei si fa male. Si segni in palestra e torni tra 6 mesi. Vadi. Avanti un altro”. Si racconta che un concessionario lombardo, per la pronta consegna, faceva fare 100 flessioni.
KAWASAKI GPZ 900 del 1983. Qui l’abito non fa il monaco. L’aspetto inganna. Sembra paciosa ma spaccava il culo ai passeri. Ancora oggi ha fascino da vendere e son passati degli annetti eh… Il motore era largo come una Twingo e in bella vista nel telaio a doppia culla, anteriore da 16’, raffredamento ad acqua, ammortizzatori meh, non faceva presagire nulla di tranquillo, soprattutto in curva. E invece… era esattamente così. Una belva inaspettata se aprivi sul dritto. La moto di serie più veloce in quegli anni. Se ce l’avevi, al semaforo ti chiedevano se eri amico di Tom Cruise. Pericolosa soprattutto perché in strada le donne si buttavano sotto le sue ruote. Per guidarla era obbligotorio avere occhiali a specchio e giacca di pelle cosparsa ti toppe aeronautiche. Take my breath awaaaaaaay.
YAMAHA FZR1000 EX-UP del 1989. Dopo che migliaia di motociclisti di tutto il mondo presero a bestemmiare all’unisono sopra le loro supersportive mentre cercavano di girare con un filo di gas a bassi regimi in città senza provocarsi tendiniti a polso e gomito, Yamaha finalmente trovò la soluzione: la valvola allo scarico. L’EX-UP. In pochi sapevano cosa cazzo fosse. La maggior parte era certa fosse solo una sigla. “Che moto hai preso?” – “L’EX-UP” – “Figata!”. Bene. Questa era una moto elegantemente cattiva e gestibilmente potente. Bella, pulita, elegante, non le si può dire nulla. Quindi passiamo alla prossima.
HONDA VFR750R RC30 del 1987. Questa è LA Superbike. Nata in concomitanza con la nascita del campionato mondiale superbike, il WSBK. Pochissimi esemplari costruiti senza tralasciare nulla né dal punto di vista della meccanica né dell’estetica. Era piccola, cattiva, leggera, andava forte. Non c’è da stupirsi se è diventata immediatamente il sogno proibito di tanti motociclisti. Per alcuni lo è ancora. Se la trovi devi esser pronto a dar via un organo al mercato nero o la fidanzata a qualche sceicco. Potrebbe valerne la pena. Dipende dall’organo. E dalla fidanzata. Alle brutte se non è granché, prendi una Hornet.
Testo e disegni di Gianpaolo Bertoncin, dalla rubrica The Junkers sul n.55 di Ferro Magazine, Novembre 2020.
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